Corsi e ricorsi storici circa fazioni, divisioni, guerre e invasioni
Osservando con uno “sguardo dall’alto” la pantomima politica, ideologica ed economica del nostro paese sembra di guardare un formicaio nel quale sia entrato un qualche animale per cibarsi e fare razzia di quello che trova. Non meno felice sembra essere uno “sguardo dal basso”: in questo caso la sensazione più diffusa sembra essere quell’incertezza e quella paura che si provano prima del sopraggiungere di un uragano. Oltre all’incertezza e alla paura però si aggiungono anche un timido livore e rammarico dati dal fatto che nonostante si sappia che la tempesta sia imminente anziché prendere provvedimenti tempestivi ed efficaci, giorno dopo giorno, si tergiversa e si temporeggia sperando che la rotta di quell’uragano cambi e non investa il nostro paese. Se fosse davvero una questione di Natura forse potremmo contare prorpio sull’aleatorietà e sulla casualità del tempo: meteorologico e non… ma così non è. È questione di uomini, perciò la tempesta sembra essere sicura.
Nonostante negli ultimi tre anni in Europa, e più di tutti in Italia, si sia cercato di scansare il problema fingendo che la crisi finanziaria non potesse intaccare in maniera viscerale l’economia reale – come se si trattasse di due oceani distanti e comunicanti solamente per mezzo di un piccolo stretto – oggi è sotto gli occhi di tutti il contrario, nel vecchio continente come negli Stati Uniti. La ripresa economica non c’è, e probabilmente non ci sarà nemmeno nel breve periodo. Le speculazioni finanziarie e il palese, quanto occultamente illegittimo, potere delle Società di revisione limitano le prerogative delle istituzioni politiche ed economiche dei singoli Stati.
Se a questa situazione di mancanza – di insufficienza di mezzi – di fronte ad un meccanismo che non solo ha travalicato i singoli confini nazionali ma che è in grado di influenzare l’operato di tutti i paesi, se a ciò, aggiungiamo il temporeggiare, l’irresponsabilità nel minimizzare ciò che è gigante e la faziosità del calcolo politico fine a se stesso, allora la tempesta si può immaginare che non risparmierà nessuno: italiani, europei, G7, G20.
Ascoltando semplicemente quell’istinto che spinge tutti gli uomini alla sopravvivenza, ora, e nei momenti di difficoltà, si dovrebbe essere portati ad una corrispondenza, ad un accordo, in poche parole, all’unione… ma così non pare. Come l’interesse nazionale non sembra essere un vocabolo del nostrano linguaggio della politica, ugualmente l’interesse europeo non sembra essere un principio guida dei paesi dell’Unione. Come non richiamare alla mente quella commedia dell’arte che, proponendo l’inserimento nelle costituzioni nazionali di un articolo che imponga il pareggiamento di bilancio, ha dimostrato solamente la debolezza di un soggetto politico che stenta a nascere: l’Europa e con lei una sua costituzione.
Tanto lavoro da fare e poco tempo per farlo prima del soggiungere della tempesta. A noi il compito di costruire difese, richiamare alla responsabilità e di insegnare nuovamente l’importanza dell’unione. La libertà è un’arma profondamente pericolosa per chi non è in grado di gestirla.
Leggere il mio e di seguito il tuo intervento mi ha fatto pensare ad un articolo di Umberto Eco apparso sull'Espresso del 13 gennaio 2011: "Come uccidere i giovani con reciproco vantaggio". Il tono d'allerta generazionale della visione apocalittica immaginata si aggancia, mi sembra, ad entrambe le nostre riflessioni.
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http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-idea-uccidere-i-giovani/2141948/18