lundi 5 septembre 2011

Penne tricolori all’arrabbiata (lettera aperta ai genitori che ci governano)

Cari genitori che ci governate,

Mi rivolgo a voi che avete in media tra i 60 e i 70 anni, ossia l’età dei genitori dei trentenni di oggi, per vedere se il monito del figlio vi tocca un po’ di più di quello del giovane anonimo il cui destino non pare starvi particolarmente a cuore. Vediamo se in questi termini voi padri, che siete la maggioranza, e voi madri,  ahimè molto poche, riuscirete a prendere meglio coscienza dello strazio in cui ci avete cacciato.
Siamo alla vigilia di uno sciopero generale contro l’attuale manovra finanziaria che porterà in piazza migliaia di giovani arrabbiati, perché saturi di una vita circense in bilico tra un lavoretto e l’altro, ed altrettanti sessantenni parimenti indispettiti dal rischio di non poter godere immediatamente della pensione che si sono guadagnati. In questo marasma di tori imbufaliti non ci sono quei 500 mila baby pensionati, anche loro più o meno della vostra età, che con la calma zen accumulata in 20-25 anni di riposo alle nostre spese, dichiarano di aver percepito una cifra in fondo molto contenuta e di aver liberato un posto di lavoro. Lungi da questi mirabili opportunisti l’onestà di ammettere d’aver marciato senza voltarsi neppure un attimo indietro sulla miopia di uno stato poco lungimirante.
Questa lettera, cari genitori che ci governate, è per dirvi una volta per tutte ed a chiare lettere: grazie, ma ora basta!
Grazie dei vostri soldi, ma basta, non li vogliamo, non vogliamo essere avidi e ciechi come lo siete stati voi. Noi trentenni ci chiediamo infatti quando ci lascerete finalmente costruire un futuro che sia nostro e dei nostri figli. La ragione per cui possiamo permetterci una vita più o meno decente è forse la stessa per cui non abbiamo ancora sfondato le porte del Parlamento e sepolto Palazzo Chigi sotto una coltre di letame. Tale ragione è che ci barcameniamo alla meglio usufruendo del vostro denaro, denaro guadagnato col sudore o astutamente incamerato accettando i doni di uno stato così poco previdente verso i suoi cittadini da non immaginare che i figli avrebbero pagato un giorno per ciò che i genitori stavano mangiando. Denaro che voi, genitori che state al governo, ancora incamerate senza pudore con i pingui vitalizi di fine legislatura.
Cari genitori, noi non li vogliamo i vostri soldi, dei beni che ci lascerete tra 20 anni e che venderemo per pagarci l’assistenza sanitaria (che non sarà più pubblica) ed una pensione privata adesso non ci importa; noi vogliamo poterci fabbricare un avvenire con le nostre forze e non vivere dei sacrifici e dei risparmi degli altri! Noi non ci vogliamo sottrarre al sacrificio, né desideriamo ingaggiare una lotta generazionale perché chi ha goduto, e spesso sperperato, non ha il cuore di mettersi una mano sulla coscienza e di restituirci, pagando ora allo Stato un contributo eccezionale cospicuo, un pezzo di quanto ci è stato tolto.
Noi campiamo e camperemo di eredità, di quelle che già ci godiamo grazie alla benevolenza del genitore-formica e di quelle che forse godremo dopo la morte del genitore vecchio.
Che orrore! Viviamo davvero nel regno dell’assurdo. L’eredità è un regalo, qualcosa che può arrivare quando hai 50 anni e sei sereno e sistemato, è un contributo che ti aiuta al limite a definire qualche spesa, qualche questione in sospeso, ma non può e non deve essere la base di partenza di un percorso di vita.
Di chi incolperemo questo sopravvivere da parassiti alle vostre spalle? Su chi ricadrà il peso di questo nefasto disequilibrio? Incolperemo voi, cari genitori governanti, e più di noi, che alla fine ne usciremo inviperiti, stanchi, ma vivi, la pagheranno i vostri nipoti, i pochi che riusciremo a mettere al mondo ed ai quali non avremo nulla da lasciare se non un’eredità di bocconi amari ingoiati per riuscire a crescerli decorosamente. Ma a voi che importa? Voi l’avrete goduta tutta la vostra bella vita, i vostri gloriosi anni sessanta e settanta, ed avrete pure il vanto di dire che vi siete sudati ogni centesimo e non avete dovuto chiedere niente a nessuno!  
Una figlia
                                                                                                                                         
                                                                                                                                                

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