mercredi 21 septembre 2011

Jean-Michel Salaün - Une approche documentaire du Web



Dommage que la vidéo n'ait pas pu être plus longue : ceux qui désirent aller plus loin peuvent se reporter au blogue de Jean-Michel Salaün.
Voici quelques réflexions et questionnements soulevés par cette présentation très stimulante et claire. On se demande tout d'abord quelle pourrait être une bonne architecture de l'information, à savoir quels seraient les piliers d'une information 3D de haute qualité, quels seraient les matériaux capables de réunir au mieux l'image, le contenu et le medium ? En effet aucune des firmes mentionnées (Apple, Google, Facebook) ne fournit un service apte à satisfaire toutes les potentialités du document.
Pour ceux qui font de la recherche scientifique ainsi que pour ceux qui "cherchent" sérieusement dans leur vie quotidienne, le meilleur traitement du document demeure celui qui privilégie le contenu, même si souvent on se retrouve perdu dans un marécage de données diverses et approximatives, alimenté par le souci pressant de la quantité et de la mise en ligne rapide. 
Le défi d'une architecture prenant en compte les trois dimensions du document serait donc la structuration d’une information agréable à lire, financièrement accessible, pourvue d’un contenu dont la qualité soit assurée par un effort de soin, de mise à jour constante et de contrôle croisé, réduisant au maximum l’erreur, la fragmentation, la partialité et l'invasion par des éléments peu pertinents. Enfin, on envisage une information facilement transmissible et partageable. Utopie ou aspiration légitime ?
Quant à l'homologie individu-document, j'en conviens, elle fait peur si on se place dans une perspective commerciale, alors que d'un point de vue anthropologique l'homme-document est une modélisation de la nature humaine plutôt intéressante et adaptable à de nombreuses branches de la recherche. 
Enfin, une dernière observation sur le medium. Le but principal d'un medium devrait être la circulation de l'information. Il arrive, cependant, que dans la plupart des cas il se mette au service de la marchandisation de l'homme-doc et de son image et cela est vrai surtout pour Facebook. Le principe de la popularité de l'image, pivot des relations sociales dans les campus universitaires américains, est l’essence du moteur qui a mis en marche FB et qui l'a lancé comme un missile dans "le campus mondialisé". L'intention présidant à tout acte créatif marque au fer rouge l’objet créé, faute d’une mutation de ce dernier afin qu'il se revendique comme autonome. Cette autonomie je ne la considère pas comme envisageable pour Facebook, qui base sa fortune non pas sur le principe du partage des connaissances (un effet indéniable, mais absolument secondaire, rien de plus qu'un bon prétexte pour gagner des inscrits), mais sur celui de la construction et de la diffusion de l'image virtuelle ainsi que sur l'exploitation de l'homme-doc comme source de revenus. 
C'est pourquoi, si on se sert de Facebook en tant que medium, on n'aura aucun problème pour intégrer la dimension esthétique (du vu), mais on rencontrera de fortes résistances sur le front du contenu (du lu). Il serait important que le medium soit, dès le départ, emprunté au principe de l'échange d'un contenu et non pas de la mise en réseau d'un conteneur qui consent aux traitement de données et de préférences personnelles rentables.

Ceux qui lisent l'italien trouveront peut-être ce lien intéressant :  
 

mardi 6 septembre 2011

Otto settembre.
Corsi e ricorsi storici circa fazioni, divisioni, guerre e invasioni

Osservando con uno “sguardo dall’alto” la pantomima politica, ideologica ed economica del nostro paese sembra di guardare un formicaio nel quale sia entrato un qualche animale per cibarsi e fare razzia di quello che trova. Non meno felice sembra essere uno “sguardo dal basso”: in questo caso la sensazione più diffusa sembra essere quell’incertezza e quella paura che si provano prima del sopraggiungere di un uragano. Oltre all’incertezza e alla paura però si aggiungono anche un timido livore e rammarico dati dal fatto che nonostante si sappia che la tempesta sia imminente anziché prendere provvedimenti tempestivi ed efficaci, giorno dopo giorno, si tergiversa e si temporeggia sperando che la rotta di quell’uragano cambi e non investa il nostro paese. Se fosse davvero una questione di Natura forse potremmo contare prorpio sull’aleatorietà e sulla casualità del tempo: meteorologico e non… ma così non è. È questione di uomini, perciò la tempesta sembra essere sicura.

Nonostante negli ultimi tre anni in Europa, e più di tutti in Italia, si sia cercato di scansare il problema fingendo che la crisi finanziaria non potesse intaccare in maniera viscerale l’economia reale – come se si trattasse di due oceani distanti e comunicanti solamente per mezzo di un piccolo stretto – oggi è sotto gli occhi di tutti il contrario, nel vecchio continente come negli Stati Uniti. La ripresa economica non c’è, e probabilmente non ci sarà nemmeno nel breve periodo. Le speculazioni finanziarie e il palese, quanto occultamente illegittimo, potere delle Società di revisione limitano le prerogative delle istituzioni politiche ed economiche dei singoli Stati.

Se a questa situazione di mancanza – di insufficienza di mezzi – di fronte ad un meccanismo che non solo ha travalicato i singoli confini nazionali ma che è in grado di influenzare l’operato di tutti i paesi, se a ciò, aggiungiamo il temporeggiare, l’irresponsabilità nel minimizzare ciò che è gigante e la faziosità del calcolo politico fine a se stesso, allora la tempesta si può immaginare che non risparmierà nessuno: italiani, europei, G7, G20.

Ascoltando semplicemente quell’istinto che spinge tutti gli uomini alla sopravvivenza, ora, e nei momenti di difficoltà, si dovrebbe essere portati ad una corrispondenza, ad un accordo, in poche parole, all’unione… ma così non pare. Come l’interesse nazionale non sembra essere un vocabolo del nostrano linguaggio della politica, ugualmente l’interesse europeo non sembra essere un principio guida dei paesi dell’Unione. Come non richiamare alla mente quella commedia dell’arte che, proponendo l’inserimento nelle costituzioni nazionali di un articolo che imponga il pareggiamento di bilancio, ha dimostrato solamente la debolezza di un soggetto politico che stenta a nascere: l’Europa e con lei una sua costituzione.

Tanto lavoro da fare e poco tempo per farlo prima del soggiungere della tempesta. A noi il compito di costruire difese, richiamare alla responsabilità e di insegnare nuovamente l’importanza dell’unione. La libertà è un’arma profondamente pericolosa per chi non è in grado di gestirla.

Ricordando l’otto settembre millenovecentoquarantatre.

lundi 5 septembre 2011

Penne tricolori all’arrabbiata (lettera aperta ai genitori che ci governano)

Cari genitori che ci governate,

Mi rivolgo a voi che avete in media tra i 60 e i 70 anni, ossia l’età dei genitori dei trentenni di oggi, per vedere se il monito del figlio vi tocca un po’ di più di quello del giovane anonimo il cui destino non pare starvi particolarmente a cuore. Vediamo se in questi termini voi padri, che siete la maggioranza, e voi madri,  ahimè molto poche, riuscirete a prendere meglio coscienza dello strazio in cui ci avete cacciato.
Siamo alla vigilia di uno sciopero generale contro l’attuale manovra finanziaria che porterà in piazza migliaia di giovani arrabbiati, perché saturi di una vita circense in bilico tra un lavoretto e l’altro, ed altrettanti sessantenni parimenti indispettiti dal rischio di non poter godere immediatamente della pensione che si sono guadagnati. In questo marasma di tori imbufaliti non ci sono quei 500 mila baby pensionati, anche loro più o meno della vostra età, che con la calma zen accumulata in 20-25 anni di riposo alle nostre spese, dichiarano di aver percepito una cifra in fondo molto contenuta e di aver liberato un posto di lavoro. Lungi da questi mirabili opportunisti l’onestà di ammettere d’aver marciato senza voltarsi neppure un attimo indietro sulla miopia di uno stato poco lungimirante.
Questa lettera, cari genitori che ci governate, è per dirvi una volta per tutte ed a chiare lettere: grazie, ma ora basta!
Grazie dei vostri soldi, ma basta, non li vogliamo, non vogliamo essere avidi e ciechi come lo siete stati voi. Noi trentenni ci chiediamo infatti quando ci lascerete finalmente costruire un futuro che sia nostro e dei nostri figli. La ragione per cui possiamo permetterci una vita più o meno decente è forse la stessa per cui non abbiamo ancora sfondato le porte del Parlamento e sepolto Palazzo Chigi sotto una coltre di letame. Tale ragione è che ci barcameniamo alla meglio usufruendo del vostro denaro, denaro guadagnato col sudore o astutamente incamerato accettando i doni di uno stato così poco previdente verso i suoi cittadini da non immaginare che i figli avrebbero pagato un giorno per ciò che i genitori stavano mangiando. Denaro che voi, genitori che state al governo, ancora incamerate senza pudore con i pingui vitalizi di fine legislatura.
Cari genitori, noi non li vogliamo i vostri soldi, dei beni che ci lascerete tra 20 anni e che venderemo per pagarci l’assistenza sanitaria (che non sarà più pubblica) ed una pensione privata adesso non ci importa; noi vogliamo poterci fabbricare un avvenire con le nostre forze e non vivere dei sacrifici e dei risparmi degli altri! Noi non ci vogliamo sottrarre al sacrificio, né desideriamo ingaggiare una lotta generazionale perché chi ha goduto, e spesso sperperato, non ha il cuore di mettersi una mano sulla coscienza e di restituirci, pagando ora allo Stato un contributo eccezionale cospicuo, un pezzo di quanto ci è stato tolto.
Noi campiamo e camperemo di eredità, di quelle che già ci godiamo grazie alla benevolenza del genitore-formica e di quelle che forse godremo dopo la morte del genitore vecchio.
Che orrore! Viviamo davvero nel regno dell’assurdo. L’eredità è un regalo, qualcosa che può arrivare quando hai 50 anni e sei sereno e sistemato, è un contributo che ti aiuta al limite a definire qualche spesa, qualche questione in sospeso, ma non può e non deve essere la base di partenza di un percorso di vita.
Di chi incolperemo questo sopravvivere da parassiti alle vostre spalle? Su chi ricadrà il peso di questo nefasto disequilibrio? Incolperemo voi, cari genitori governanti, e più di noi, che alla fine ne usciremo inviperiti, stanchi, ma vivi, la pagheranno i vostri nipoti, i pochi che riusciremo a mettere al mondo ed ai quali non avremo nulla da lasciare se non un’eredità di bocconi amari ingoiati per riuscire a crescerli decorosamente. Ma a voi che importa? Voi l’avrete goduta tutta la vostra bella vita, i vostri gloriosi anni sessanta e settanta, ed avrete pure il vanto di dire che vi siete sudati ogni centesimo e non avete dovuto chiedere niente a nessuno!  
Una figlia
                                                                                                                                         
                                                                                                                                                

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