Bernardafree

Piccoli momenti di libera espressione sulle tecniche, i metodi e le forme della comunicazione moderna
Bernardafree è un'idea nata in una biblioteca di storia tra una pausa caffè e letture di peso specifico variabile, in risposta ad un sano, irrefrenabile desiderio di retro-dissenso o retro-assenso. 
La pagina offre uno spazio senza paletti a chi nel quotidiano si deve amaramente adeguare e certe forme codificate di comunicazione, ma che ne vorrebbe una diversa: più diretta, più originale, più sincera.  
Checché ne possa suggerire il nome, Bernardafree non ha una relazione diretta col sesso, né come genere, né come pratica. Il nome, con la sua chiara allusione al sesso femminile, si riporta ad un’idea più astratta di apertura, di profondità, di creazione e di liberazione che non rinunci a pescare anche, ma non solo, nei bassifondi del linguaggio.
Bernardafree voleva essere un portale e forse un giorno lo sarà! 



Non tutti DEVONO scrivere


Quale mente sinistra ha diffuso l’idea che se un ricercatore non pubblica al kilo non è un ricercatore valido?
Tutto fa brodo, di questo ho già scritto a gennaio (cf. Spigolature epigrafiche), ma ci sono saggi brevi, e purtroppo anche molti tomi voluminosi, in cui l’inettitudine e la fragilità argomentativa degli autori vengono a galla drammaticamente.
Leggere uno scritto ben scritto, di qualunque genere esso sia, informativo, narrativo o scientifico, è sempre un piacere ed un arricchimento. Sorbirsi purghe di lettere piatte e mal assemblate è invece un bel po’ fastidioso e, a lungo andare, provoca intolleranza e danni considerevoli all’apparato gastro-intestinale.
Il fatto che taluni si cimentino nella narrativa con scarsi risultati non ha grosse ripercussioni sul prossimo. Il consumatore di narrativa è infatti un lettore volontario. Inoltre, chi compra un cattivo romanzo può sempre interromperlo a pagina 11, lo può usare per ravvivare il fuoco del caminetto oppure lo può riciclare ad un parente antipatico.
Ricercatori, studenti, dottorandi hanno oggi, purtroppo, una dura battaglia da combattere, quella contro la sovrapproduzione.
Gli editori di saggi e lavori scientifici accettano tutto, applicando un controllo a monte ed a valle che non limita in alcun modo la circolazione di  prodotti avariati.  Il livello del magma è in aumento soprattutto nelle scienze umane e sociali, continuamente costrette a dover giustificare e spiegare,  tramite una rendicontazione copiosa e visibile, l’utilità dell’immateriale al solo fine di poter sopravvivere.
Risultato: scritti inutili, doppioni, quando va bene in formato ecologico, ovvero digitale, quando va male su supporto cartaceo. Perché? Per un paio di motivi molto chiari che si situano all’origine del ciclo di produzione, l’area delle spinte e delle motivazioni. La carriera del singolo ed il prestigio dell’istituzione d’appartenenza si basano in larga misura sul numero, e non sulla la qualità, delle pubblicazioni che nessuno ha tempo e voglia di verificare.
Gli esperti chiamati a rileggere, correggere ed approvare una pubblicazione accordano il loro imprimatur dopo averle dato un’occhiata fugace al mare o in settimana bianca. L'opera esce in condizioni ancora molto precarie e subito scatta la recensione, a cui taluni si consacrano per il solo gusto di demolire con un paio di picconate ben assestate un edificio palesemente fragile.

Sarebbe bene prendere coscienza di un fatto: esistono menti eccelse, fari potentissimi nella nebbia del mondo, che non sono stati folgorati dalle Muse. Ciononostante, sono capaci di prodursi in eccellenti perfomance orali e saprebbero spiegare con successo la fissione nucleare anche ad un montone. Questi individui non dovrebbero essere costretti a scrivere, né dovrebbero obbligare i loro galoppini a farlo per loro, del tutto o in parte, allo scopo di soddisfare una richiesta istituzionale. Ciascuno ha il suo talento e dovrebbe poterlo esprimere come meglio sa, producendo idee, elaborando progetti o contribuendo alla loro realizzazione, tenendo corsi e seminari e, tra le diverse forme di contributo, ci sarà anche, ma non solo, la scrittura di saggi, articoli e monografie.
Certo è chiaro che un ovino assunto per fare piacere ad un pezzo grosso non sarà mai in grado di esprimersi se non belando fastidiosamente, perché capra è e tale resterà sempre. Ma allora, una volta assunta, perché obbligare la  povera bestia a rintronare i lettori ed esporla allo sciacallaggio?
Ci sono ormai tanti diversi mezzi per sondare e giudicare l’operato di un ricercatore: la partecipazione a programmi collettivi, il numero di progetti portati a termine con profitto, il numero di studenti presenti ai corsi, i finanziamenti ottenuti per far decollare progetti nuovi, l’organizzazione di eventi e, soprattutto, l’impatto innovativo delle sue ricerche. Nulla impone che il metro di giudizio sia il numero di pubblicazioni.
Cari osservatori della ricerca, fate qualcosa, fermate questa ondata di liquame che si propaga in modo inquietante dalle case editrici, in particolare nei paesi ricchi, in cui non mancano fondi per dar voce ad ogni specie di afflato. Date a chi vale l’opportunità di mostrare e mettere a frutto le proprie competenze servendosi del canale di trasmissione che preferisce, purché non sia quello urinario e pressappochista della messaggistica immediata via Twitter e Facebook.
Un rating dei luoghi della comunicazione sarebbe certamente gradito. La condivisione e la diffusione rapida di un evento, di un pensiero semplice e di un quesito è indubbiamente resa possibile ed efficacemente catalizzata dai canali appena menzionati, ma sono altri i luoghi per l’elaborazione di contenuti e risultati complessi: le riviste elettroniche, i blog scientifici, le voci enciclopediche digitali, tanto per citarne alcuni.
Ora come ora un cattivo ricercatore non è un ricercatore che non scrive, ma un ricercatore incapace di  comunicare e trasmettere a qualsiasi livello avvalendosi degli strumenti attuali. 

Heliodora, 9 dicembre 2011
  

GOOGLE interest based advertising (pubblicità basata sugli interessi di Google) =>per come disattivare il servizio vedi il post del 22 ottobre 2011

1.       Tutto è nero su bianco: vero, verissimo, ma chi mai lo scoprirà?

2.       Nessun consenso è chiesto all’attivazione: il servizio è attivo di default. 

 

Non siamo nati tutti smanettoni, anzi, la maggior parte delle persone utilizza il computer in modo passivo alla maniera di un altro elettrodomestico per lavorare, divertirsi, giocare, scambiare documenti ed informazioni. Tuttavia, mentre l’aspirapolvere aspira, la lavatrice lava ed il forno cuoce, il computer calcola e da qualche tempo mostra un certo interesse per i nostri movimenti in rete e per le nostre conversazioni via mail, Skype, chat. Diciamo, semplificando al massimo, che la scatolina magica registra i nostri viaggi internautici, li trasforma in dati sensibili in base ai quali “si fa una certa opinione” su di noi e sui nostri gusti per poi elaborare annunci pubblicitari mirati. Quando siamo in rete e facciamo ricerche tramite Google, oppure navighiamo nei siti legati a Google, siamo stimolati a riprendere la rotta che avevamo imboccato, ci viene gentilmente ricordato ciò che ci serviva o di cui pensavamo di aver assoluto bisogno.
Lyon, Croix Rousse, tag by B. Brash
Dell’uso passivo e poco attento del mezzo si nutre l’anima scaltra del commercio entro i limiti arbitrari dell’assoluta trasparenza e nel massimo rispetto della privacy, una nozione del tutto inconsistente, creata per il puro gusto d’essere infranta, ridiscussa, ridefinita in sublimi e prolisse pagine-scudo per aziende a caccia di clienti.
Ci sono in giro validi cervelli che purtroppo non vengono spremuti per creare vaccini, ma sono inchiodati allo schermo per incrementare il giro di affari di Google e delle sue numerose appendici. Grazie a loro, da qualche mese ormai, gli annunci pubblicitari hanno un’aria sempre più familiare, anzi sembrano fatti su misura per noi. Non è un’impressione, è proprio così. Senza addentrarci troppo nel tecnico, diremo che il sistema si basa su elementi che vengono registrati dal vostro motore di ricerca chiamati cookies (già, proprio come i biscotti); si tratta di una serie di cifre che aiutano il browser (Firefox, Chrome, Explorer, Safari, etc.) a ricordare che tipo di ricerche fate (Warning! Se cambiate browser, o se usate un altro computer, il gioco non funziona più).
Naturalmente Google si è prodigato nel fare a questo sistema la migliore presentazione possibile. Il blog ufficiale annuncia trionfante: interest based advertising, more value for everyone! E già nelle nostre orecchie risuona la voce del compinato Freddie Mercury: this could be heaven for everyone… E invece no, paradiso un corno! Immaginate una vocina che a distanza di una settimana ti sussurra: ti ricordi il PC portatile che hai visto sul sito di Mediapuffoland e che hai lasciato perdere perché in fondo non te lo potevi permettere? È sempre lì che ti aspetta, perché non lo compri, è pure in offerta a 1199 euro anziché 1299? Ed è un attimo, qualche click, una carta di credito, un bel pagamento rateale ed è fatta.
Google assicura che l’utente ha pieno controllo su questo servizio ed è libero di orientare e gestire le sue preferenze come pure di disattivare il servizio in qualunque momento in modo semplice e rapido. TUTTO ASSOLUTAMENTE VERO, MA:
1. Il “servizio” è automaticamente attivo (voi ve lo trovate già in modalità ON)
2. Se lo volete disattivare potete farlo con sforzo minimo, però prima vi dovete accorgere che esiste, poi  dovete valutare se vi sta bene o no ed infine, eventualmente, dovete cercare una via rapida per sbarazzarvene.
La realtà è che inizialmente non ci dai peso, ti lasci trasportare dalla corrente, poi un giorno apri la mail e scopri cose vagamente inquietanti. Una chat via Skype del giorno precedente sulla possibilità di affittare appartamenti per le vacanze si è trasformata in un annuncio pubblicitario in bella vista nella tua mail. Dunque Skype e Gmail si parlano? Bene, e quali sono gli altri interlocutori? Ci piacerebbe saperlo.
In una mail confidenziale un giorno ho scritto ad un amico che preferivo sfogarmi con lui piuttosto che annegare i dispiaceri nell’alcool. Ho guadagnato un bell’annuncio “FORUM ALCOOL PARLIAMONE”, e per fortuna che, cito dal sito di Google, “Google non pubblicherà annunci basati su categorie di interessi sensibili senza il consenso dell’utente”! Perché, mi chiedo, se dessi il mio consenso, oltre alla pubblicità dei gruppi per alcolisti e quella del colluttorio per l’alitosi, cosa vincerei? La pubblicità della crema contro le emorroidi e dei preservativi ai frutti rossi vitaminizzati?
La rete fa circolare e riversa su di noi un flusso di informazioni che costituiscono altrettante sollecitazioni, ed un flusso mirato non ha la stessa efficacia e lo stesso impatto di un flusso casuale. Chi elabora il meccanismo lo sa fin troppo bene. Perché non proporre il servizio come un’opzione aggiuntiva, invitante quanto si vuole, ma non automaticamente attiva? La risposta è una ed una sola : la guerra si vince solo con le armi pesanti!

Heliodora, 22 ottobre 2011
Combien d'OTIS dans les bâtiments de la recherche scientifique?


Un peu de cuisine ...
 
Il paraît qu’il soit plutôt commun de mettre des recettes sur un blog. Celle du tiramisù aurait pu être appréciée par les amis français, mais en rangeant mes "papiers numériques", j’en ai trouvée une autre encore plus facile, moins chère et surtout très, très actuelle :
  
La recette du copier-coller

Minimum d’efforts, maximum de rapidité,
arrive l’ère de la soupe réchauffée,
de la salade de fruits à télécharger :
le livre découpé,
le langage condensé,
l’information sucrée,
le pot au feu partagé.
Tuez vos  doutes, vos questions, vos idées,
couvrez-les d’alcool,
laissez-les une demi-vie dans le frigidaire
et sortez-les une heure avant la date d’expiration.
Rien ne reste à mijoter,
vous n’avez qu’à copier et coller,
copier-coller, copier-coller. 

Heliodora, avril 2011

“Spigolature epigrafiche”: che significa?

La comunicazione scientifica ha i suoi codici. Certe regole cambiano a seconda del paese, della lingua, della disciplina. Tuttavia, al di là dello stile personale o proprio di una determinata area del sapere, qualsiasi forma di comunicazione voglia dirsi tale deve avere un messaggio chiaro. Una delle più grosse piaghe del mondo dei cosiddetti studiosi, o presunti tali, è che molti non sanno formulare un pensiero in modo da poter essere compresi da un altro a parte loro. A dirla tutta, la radice del male sta proprio nel fatto che neppure chi scrive sa di cosa sta parlando. L’importante non è arrivare a conoscere un argomento così profondamente da poter esprimere concetti complessi in modo semplice, l’importante è scrivere, scrivere tantissimo e nel modo più oscuro possibile. «Se non ti capiscono non possono criticarti» mi disse un giorno un collega che si riteneva uno strepitoso scienziato. Egoismo e apparenza sono il fondamento di ogni mercato, perché la scienza dovrebbe fare eccezione?  
Gli studenti universitari, che Dio li abbia in gloria, sono spesso obbligati a leggere libri lunghi, pallosi e privi di contenuto che i professori-autori mettono nei programmi d’esame per poter vendere due copie in più della loro importante monografia. Tra questi piccoli lettori coatti - dove per coatti non si intende truzzi - ci sono teneri e diligenti soldatini che passano interi pomeriggi cercando di schematizzare la prima pagina dell’introduzione. Ed è come se li vedessi, lì nella loro cameretta con l’evidenziatore in mano e il cervello grondante di sudore, estenuati dallo sforzo di capire, dopo sei righe di gerundi, dov’è il soggetto della prima frase.
E poi ci siamo noi ricercatori, professori, o aspiranti tali, che vorremmo trascorrere un po’ più di tempo con le nostre famiglie, i nostri compagni, i nostri amici, piuttosto che sciropparci pagine e pagine di vuotaggini inutili e scritte male.
Per non farci mancare nulla, andremo alla scoperta dei cinque aspetti migliori della comunicazione scientifica del XXI secolo, ricordando che spesso essi possono combinarsi nello stesso lavoro. E questo è quanto di più nefasto possa capitarti, soprattutto se fuori fa caldo e c’è il sole.   

1. La minestra riscaldata ed il concetto inedito
Rimestare in una pentola che bolle dai tempi dei tempi per scodellare una sbobba riscaldata: ecco uno dei principi cardine della ricerca scientifica. Lo status quaestionis, o stato dell’arte, è la parte del libro o dell’articolo in cui si descrivono i risultati dei lavori precedenti sul tema trattato, quando è troppo lunga c’è davvero di che preoccuparsi. Un ricercatore onesto, nell’ 80% dei casi, farebbe bene a lasciar perdere l’intuizione, sopraggiunta in un momento d’illuminazione mistica post caffè mattutino, dopo un semplice giretto in biblioteca. Se già 20 persone prima di te hanno sollevato, analizzato, rivisto, vivisezionato un argomento in ogni suo più recondito pelo, perché infoltire la massa? Tuttavia, l’abbandono di un’idea comporta che il ricercatore in questione sia dotato di uno spiccato spirito atletico e di una notevole umiltà intellettuale: il primo gli serve per alzare le natiche dalla sedia ed andare in biblioteca a leggere la letteratura e la seconda per ammettere di non avere nulla di nuovo e di più originale da dire. Quasi nessuno ci riesce sistematicamente, la sottoscritta si inserisce nel gruppo di chi talora ha fallito questo sforzo di onestà intellettuale. Spesso uno è portato a raccontarsi incantevoli favole, ad autoconvincersi della genuinità e della buona fede del suo pensiero. In più, se sei tormentato dal dubbio e ti viene in mente di chiedere consiglio ai colleghi, nove volte su dieci ti diranno che stai andando benone, chi per buon cuore, chi perché se ne sbatte regalmente gli zebedei del tuo lavoro. Così si generano i corsi e i ricorsi scientifici, così si crea quella spessa coltre di ciarpame inondato dal fumo delle parole dove fare una selezione è un obbligo ingrato e dove trovare uno scritto originale è un’impresa titanica.     
Se anche in cuor tuo sei certo di fare del copia e incolla e sai persino il nome e il cognome della tua fonte di ispirazione, nessun problema, la soluzione è già scritta nel manuale del perfetto scienziato: mescola le carte in modo diverso ed elabora un concetto inedito con il giusto mix di parole trendy!

 2. Parole trendy
Nella pratica quotidiana dello scienziato medio, un concetto è inedito non quando nessuno lo ha diffuso prima - il che sarebbe coerente al significato del termine inedito - ma quando nessuno lo ha formulato prima con le parole giuste. Le parole giuste cambiano spesso seguendo mode, ragioni politiche, dinamiche di persuasione che poco o nulla hanno a che fare con la sostanza della ricerca. Le possibilità creative sono pertanto innumerevoli. Qual è l’iter della nuova acquisizione? Sia che questa verità fosse già scritta nel grande libro dell’universo o nella mente dell’altissimo, di solito una sola persona o un solo gruppo di collaboratori vanno a scovarla e la rendono di pubblico dominio, POI arrivano in massa gli avvoltoi, i ricamatori fini, i principi del sinonimo. E allora via, senza limiti: progetti di sviluppo laterale, anteriore e soprattutto posteriore, voli nell’iperspazio, riletture in tutte le chiavi ed in tutte le prospettive!
Un giorno, durante un’avvincente riunione di dipartimento, mi divertii ad annotare le parole di cui gli oratori si riempivano la bocca per poi spararle a raffica su un uditorio annuente, assuefatto ed a tratti visibilmente annoiato e ronfante. Non se ne può fare a meno: sono le combinazioni d’impatto, le parole d’ordine della conoscenza. Queste formule magiche sono il pane quotidiano dello studioso moderno, in quanto appositamente studiate per fare breccia nel portafoglio di chi potrebbe sostenere il suo progetto: privati, istituzioni, associazioni la cui volontà può essere facilmente sedotta da un discorso ben cosparso di vaselina. Il lettore attento capirà immediatamente che più un progetto è minestra riscaldata più straripa di parole trendy. 
Espressioni come visibilità, accessibilità, democratizzazione del sapere, programma interdisciplinare, asse trasversale, diffusione in ambiente digitale, sono elementi imprescindibili del lessico scientifico attuale, sono come la maglia nera in tinta unita o la camicia bianca, se non ce le hai nell’armadio non vai da nessuna parte!
Facciamo un paio di begli esempi pratici di frasi passepartout che fanno scena:

“Declinare un programma scientifico coerente e ben strutturato, aderente agli standard internazionali, allo scopo di garantire un’ampia dimensione collaborativa, è l’unica via attualmente auspicabile”

“La questione va riformulata su nuove basi, nel quadro di un progetto dinamico ed innovativo di ricerca applicata e visibile, avulsa da nozioni teoriche astratte e poco trasparenti”

Che vuol dire tutto ciò? Nulla, assolutamente nulla, ed è fondamentale che sia così: succo di retorica 100%, ATTENZIONE: può contenere tracce di contenuti. 
A voler essere onesti, se vuoi dar da lavorare a chi ha voglia di fare e di fare bene, sei praticamente costretto a dorare il tuo progetto di studi e di lavoro con gli ultimi ritrovati del marketing della ricerca, perché se non lo fai sei assolutamente out.
Ecco, io proporrei, per renderci la vita più facile, di creare all together un digimanuale da tenere sempre aggiornato, con una parte generale e differenti sezioni disciplinari. Mi sembra la soluzione migliore, così tutti possiamo andare a pescare nello stesso fiume di minchiate.
Titolo: “Minchiate fresche al servizio dello scienziato: come scrivere un progetto, un resoconto o un articolo senza perdere tempo prezioso”. Versione 1.0, 2011.      

3. English style
Se per essere chiari bisogna ingabbiare i discorsi in una struttura che è sempre la stessa mi sembra che sarebbe molto più comodo e rapido scrivere usando moduli prestampati. Sotto questa lapide non intendo certo seppellire l’intera scuola anglosassone che parte da buone premesse, anzi dalle migliori. Semplificando al massimo, il principio dominante è: andiamo al sodo e non perdiamo di vista il target, altrimenti prima di vedere un risultato ci vengono le rughe ed i soldi non ce li hanno dati per farci i complimenti a vicenda o per perderci in discussioni sulla qualità del vino servito ai rinfreschi. Questo modo di pensare e lavorare è indubbiamente una garanzia di successo. Solo un appello accorato a chi scrive nel settore degli studi umanistici: dateci una mano a sfondare il muro delle 1500 parole che ci consentono di comunicare come gli uomini di Cro-Magnon nel mondo globale! Non dico di spaziare nel range semantico di Melville o di Jack London, ma aiutateci ad arricchire il nostro background  lessicale con parole diverse da framework, challenge, output, cross-disciplinary e interdisciplinary!     
Viva la coordinazione, frasi brevi e precise per tutta la vita, piuttosto che le pile di gerundi di certi nostri enigmisti italiani, però ci vorrebbe un po’ di vivacità, un pizzico di fantasia, “a spoonful of sugar helps the medicine go down” avrebbe canticchiato la vostra simpatica connazionale ombrelleggiando davanti al Big Ben.    

4. Io cito e tu Tarzan
La citazione può essere un efficace aggancio, ma a volte se lo dici a parole tue è meglio. Pagine trapunte di virgolette simili ad una coperta patchwork di pezzi tagliuzzati qua e là, una rete fitta, fitta di ipse dixit che conferisce al prodotto finale il peso specifico del piombo. E noi lì a dondolarci nella giungla dei detti illustri sperando di trovare una liana conduttrice. Non è che perché l’ha scritto Einstein o Nietzsche non lo potevi pensare anche tu. Anche Einstein al mattino deponeva quello che aveva mangiato il giorno prima, proprio come te piccolo ricercatore che ti senti una caccola al cospetto dei grandi. Inoltre, se un giorno si scopre che ti sei servito del pensiero di un altro, vivo o morto che sia, e lo hai riformulato diversamente, non rischi la sedia elettrica per plagio, alla fine si è visto come questa sia una prassi molto comune. Questo purché tu non faccia di tutto il tuo lavoro una gigantesca parafrasi, in questo caso potevi risparmiarti di sprecare il tuo tempo aumentando il volume della minestra e di far sprecare tempo ai lettori aumentando il volume ed il peso delle loro gonadi.       

5. Le dolenti note
L’articolo dov’è? Il livello delle note sale in modo preoccupante, prima un terzo del foglio, poi la metà, infine l’intera pagina è sommersa da caratteri piccoli, piccoli e tu ti domandi come è possibile? Due righe di testo ed una nota per ogni parola? Ti chiedi allora: cosa ho fatto di male, perché satana mi vuole punire così crudelmente, perché devo leggere articoli che ne contengono altri cinque o sei nelle note?
La nota erudita kilometrica: ne faremo volentieri a meno.
Heliodora, 22 gennaio 2011


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