L’estate è arrivata, il coro si alza: “È scoppiato il
caldo!”.
I telegiornali possono finalmente sfoderare i riciclatissimi servizi
di repertorio: tra un condizionatore gocciolante, un gelato spalmato sulla
bocca di un bambino ed una vecchia agonizzante che si sventaglia, spuntano i piedi dei turisti a bagno nelle fontane.
E la primavera? Che fine ha fatto? In molti se lo sono
chiesti quest'anno, ma c’è chi, sospinto da un’analogia tanto facile quanto amara, se lo
sta chiedendo più di
altri.
Ogni giovane vita attraversa un momento d’oro, una primavera
intellettuale carica di idee e fervida di energie. Ho
visto questa stagione sfumare negli sguardi dei coetanei, estinguersi
nello slancio fulmineo di progetti abortiti sul nascere, consumarsi nella lotta
per un posto stabile e per un salario decoroso a cui si aspirava non come una
stazione d'arrivo, ma come un trampolino di lancio. Traguardi per molti non ancora
raggiunti, per altri toccati troppo tardi. Nella lunga corsa, quante porte sbarrate, quante idee perse, quanti sogni svaniti! Non li riavremo mai indietro.
C’è chi ha cercato la primavera
al "Nord del mondo", in una serra ben irrorata e protetta, dove si producono
artificialmente frutti belli e insipidi. Un'illusione, un pallido ripiego, non prendiamoci in giro.
I danni maggiori non sono per le arti che si nutrono di
tensioni e sanno gestire l'incerto. Le perdite più importati si misurano nella
ricerca, nelle scienze umane e sociali, e persino in quelle buffamente definite
esatte.
Progetti solidi e ben strutturati non sbocciano sotto l’aura
rarefatta e pesante di un vecchio barone, nè idee brillanti possono esprimersi
nella routine di un impeccabile servizio consacrato al successo di spensierati cinquantenni.
Ecco cosa abbiamo perso: la primavera. Ci saranno certo
nuovi cicli, ma non per noi e non per ora.
Ora c’è l’estate, un’estate calda di rabbia. E poi si affaccerà l’autunno ed avrà i nostri occhi, occhi stanchi, disincantati, avvelenati.
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